La manifattura additiva ha sempre incontrato un ostacolo che ha condizionato il dispiegarsi delle sue potenzialità nei processi produttivi: la ristrettezza del campo operativo. Di fatto, per anni è stata utilizzata per la prototipazione, o per la realizzazione di serie limitate di componenti. Questo ha pesato parecchio sui volumi, e anche su quelli delle macchine vendute per realizzarli. Per questo Prima Additive, scale up che costruisce macchine e celle robotizzate che con l’AM producono componenti in metallo – ha definito una strategia di crescita largamente fondata sull’ampliamento del campo di applicazione di questa tecnologia. Ufficialmente Prima Additive è nata pochi mesi fa, grazie all’intervento in una start-up dell’importante Gruppo Prima Industrie, che invece si occupa di laser e macchine per la lavorazione del metallo. E pertanto ha dimensioni contenute: circa 35 dipendenti, sede a Collegno (Torino) e uno stabilimento produttivo a Solbiate Olona (Varese). Tuttavia, Prima Additive ha ambiziosi obiettivi: il primo dei quali è la crescita dal 30% al 40% per il 2023.
Ma in cosa consiste questa strategia di crescita? Anzitutto, nella realizzazione di macchine che utilizzano più laser, e laser con una diversa lunghezza d’onda, blu e verdi. Questi ultimi non incontrano i limiti dei modelli ad infrarosso, che con difficoltà possono essere adoperati per trattare polveri di rame o di altri materiali altamente riflettenti, visto che gran parte dell’energia utilizzata viene riflessa. Lavorare metalli diversi significa ampliare lo spettro della clientela potenziale.
Continua a leggere questo articolo pubblicato su industriaitaliana.it