Futuro del lavoro con l’intelligenza artificiale: il punto sulle previsioni

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Come ci insegna il mito di Prometeo ed Epimeteo e come ci ricorda Maurizio Ferraris (2016; 2021), l’essere umano è un animale disadattato (così lo definiva anche Arnold Gehlen), senza una specifica caratteristica che possa renderlo adatto a sopravvivere in un determinato ambiente; ciò che lo caratterizza, tuttavia, pur in via non del tutto esclusiva, è la tecnica, ovvero la capacità di sopperire alle proprie mancanze con lo sviluppo di tecnologie sempre nuove. Eppure, queste stesse tecnologie sono anche oggetto di paure, antichissime e sempre rinnovate: le macchine prenderanno il potere, ci metteranno da parte, ci toglieranno il lavoro.

La nuova tecnica che ora minaccia i colletti bianchi

Nessuna tecnologia sembra esentarci dal porre questa domanda, ovvero dal chiederci – in un modo quantomeno più neutro, ma certamente interessato – “in che modo influenzerà il mio lavoro?”. Questa stessa domanda, che avrebbe potuto chiedersi un sofista alla diffusione dei testi scritti (la scrittura come tecnica che arreca danni alla memoria e toglie il lavoro a chi insegna perché ora che ho un testo, il sapere posso scoprirlo da me), è stata affrontata da diversi studi dopo il lancio, così discusso, di ChatGPT. Un elemento interessante da considerare è che se tradizionalmente è accaduto, e si pensa che, le nuove tecnologie hanno portato all’eliminazione dei lavori svolti da persone meno qualificate (prima gli agricoltori, poi gli operai), questa volta a essere sotto minaccia sembrano i cosiddetti colletti bianchi. Questo per la natura stessa di GPT e simili, che ha a che fare soprattutto con il linguaggio, dunque con la produzione di testi, codici, formule, ma anche immagini.

 

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Autore: Redazione
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